Amartya Kumar Sen e la critica al welfarismo

L’economista indiano Amartya Kumar Sen, (1933), è stato premiato con il Nobel per l’economia nel 1998, per  la sua teoria dei funzionamenti. Si pone come alternativa alle più consuete concezioni welfariste o benesseriste, di cui uno degli esempi più noti è l’utilitarismo.

Ritengo che sia molto importante. Siamo abituati all’idea che il nostro agire sia “naturalmente” rivolto alla soddisfazione dell’interesse personale. Ma è davvero così? La felicità dipende solo dalle cose che possediamo che ci fanno star bene?

Il termine welfare

Un po’ di premesse. In linea generale con il termine “welfare” si intende “benessere”. Quindi con welfare si indicano tutte quelle prestazioni rientranti nell’ambito della tutela della persona che si attivano quando un cittadino o un lavoratore cadono in malattia, sono vittima di infortunio, invalidità, disoccupazione e vecchiaia, o nel caso di una maternità.

Welfare in italiano di traduce con stato socialeprevidenzaassistenza socialepolitiche sociali. In senso lato indica le politiche o le attività per l’assistenzialismo. Quindi i servizi sociali, gli ammortizzatori sociali, i sussidi, la tutela o la protezione sociale.

Dal welfare deriva il welfarismo, in senso lato assistenzialismo.

WELFARISMO e utilitarismo

Il welfarismo si è sviluppato nel corso del tempo e in diversi paesi, con un insieme di politiche pubbliche di assistenza e protezione sociale, volte a erogare servizi e benefici, per tutelare i cittadini dai rischi derivanti dall’assenza di reddito.

Ma…il welfarismo implica che il benessere individuale sia l’unico elemento dotato di valore. Questa assunzione è fondata sull’idea che il comportamento razionale sia quello mosso dall’interesse personale.

La teoria identifica poi il benessere individuale con l’utilità, divenendo “utilitarismo”.

Critiche di Amartya Sen al welfarismo

Sen muove delle giuste critiche al welfarismo.

Nella teoria etica utilitarista, “si considera l’utilità come l’unica cosa di valore intrinseco“. Uno stato di cose è da ritenersi migliore di un altro se comporta un’utilità maggiore per almeno un individuo rispetto all’altro.” Secondo una definizione leggermente diversa, se comporta un’utilità maggiore per tutti gli individui.

Per il welfarismo di entrambe la varianti se due stati di cose sono identici per le utilità individuali, essi devono essere giudicati ugualmente buoni, indipendentemente dalla loro diversità per aspetti non connessi alle utilità individuali.

L’utilitarismo non riesce a rendere conto dell’importanza intrinseca del rispetto delle libertà personali e dei diritti, riservando ad essi un ruolo meramente strumentale rispetto all’utilità.

Utilità sinonimo di felicità?

Sen afferma, nella letteratura utilitarista, il termine utilità è stato assunto come sinonimo di due diverse condizioni soggettive: della felicità (o del piacere), e dell’appagamento dei desideri (o delle preferenze). L’utilità si identifica con uno stato mentale individuale.

Entrambe le caratterizzazioni dell’utilità sembrano però fallire come criteri per identificare lo star-bene, il quale viene concepito come uno stato non solo mentale ma anche fisico dell’individuo.

L’identificazione dello star-bene con l’utilità, però, non è in grado di cogliere il fenomeno dell’adattamento mentale a situazioni di estrema povertà, con il conseguente adattamento al ribasso dei desideri e della felicità.

Occorre quindi tenere presenti “le distorsioni che si generano quando le condizioni soggettive del piacere e del desiderio si adeguano a situazioni di persistente diseguaglianza“.

Ad esempio, un lavoratore precario, o disoccupato cronico hanno imparato a tenere sotto controllo i loro desideri e a trarre il massimo piacere da minime gratificazioni.

L’interesse personale non è l’unica motivazione dell’uomo

L’eccessiva ristrettezza del concetto utilitaristico della persona comporta l’adozione di un modello di motivazione basata esclusivamente sull’interesse personale e la ricerca dello star-bene come unica cosa dotata di valore.

Ma, obietta Sen, possono esistere altre motivazioni oltre quella dell’interesse personale. Appare plausibile sostenere che l’azione di una persona possa indirizzarsi a scopi che non riguardano il suo star-bene. La persona va infatti considerata per Sen non solo in termini di interesse personale e raggiungimento dello star-bene, ma anche di attività, nella sua capacità, cioè, “di dar forma a obiettivi, impegni, valori“.

L’attività di una persona può essere diretta ai più disparati obiettivi, indipendentemente dal fatto che essi siano in relazione diretta con lo star-bene.

Una persona in quanto agente non è necessariamente guidata solamente dal proprio star-bene e le acquisizioni dell’attività si riferiscono ai successi conseguiti nel perseguire la totalità degli obiettivi e fini che essa prende in considerazione.”

Accanto ai risultati effettivamente raggiunti va infatti considerata anche la libertà della persona di acquisirli. La libertà di conseguire il proprio star-bene, libertà di star-bene, così come di conseguire gli altri obiettivi dell’agire, libertà di attività.

Il benessere degli altri

Nel  welfarismo ristretto, l’unico interesse del soggetto è quello di raggiungere degli obiettivi di benessere personale, che non assegnano nessuna importanza diretta al benessere di altri. Il  soggetto  invece è  dotato della capacità morale di pensare e agire sulla base di una pluralità soggettiva e intersoggettiva di valori e principi morali.

Quindi, secondo Sen, il benessere sociale così come inteso oggi non coincide necessariamente con livelli adeguati di vita.

Riflessioni sulla disuguaglianza di Sen

Amartya Sen mette al centro della propria riflessione la discussione sulla disuguaglianza (inequality).

Chiaramente le persone non sono affatto identiche, ma anzi vige un’assoluta “diversità umana”. Ne segue che l’eguaglianza in una sfera tende a coesistere con disuguaglianze in altre sfere.

Ad esempio, due persone con reddito uguale possono avere una forte disuguaglianza nell’abilità di fare ciò che si ritiene importante. Un sano e un malato, pur avendo lo stesso reddito, non possono fare le stesse cose.

Prima di difendere l’eguaglianza bisogna aver chiaro quali siano le caratteristiche da rendere uguali.  Cosa è fondamentale? Redditi, ricchezze, opportunità, libertà, diritti, ecc. Dunque innanzitutto bisogna interrogarsi su quali siano gli aspetti della vita umana che debbono essere resi eguali.

Sen collega il valore eguaglianza al valore libertà: quest’ultima è da lui connessa ai concetti di “funzionamenti” e “capacità”.

Funzionamenti e capacità, la teoria di Sen

Con l’espressione “funzionamenti” (functioning) Sen intende “stati di essere e di fare” tali da qualificare lo “star bene” o benessere. Esempi di funzionamenti sono l’essere adeguatamente nutriti, l’essere in buona salute, avere medicine per superare la mortalità infantile, ma anche l’essere felici, l’avere rispetto di sé, ecc.

Con l’espressione “capacità” (capabilities) Sen intende invece la possibilità di acquisire funzionamenti di rilievo, ossia la libertà di scegliere fra una serie di vite possibili. “Nella misura in cui i funzionamenti costituiscono lo star bene, le capacità rappresentano la libertà individuale di acquisire lo star bene”.

La conclusione a cui Sen perviene è che il grado di eguaglianza di una determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie di capacità di acquisire fondamentali funzionamenti. E’ questo a portare a un’adeguata qualità della vita o well-being generale.

Lo sviluppo è libertà

Secondo Sen, i livelli di reddito della popolazione sono importanti. Ogni livello coincide con una certa possibilità di acquistare beni e servizi e di godere del tenore di vita corrispondente.

Tuttavia accade spesso che il livello di reddito non sia un indicatore adeguato di aspetti importanti come la libertà di vivere a lungo, la capacità di sottrarsi a malattie evitabili, la possibilità di trovare un impiego decente o di vivere in una comunità pacifica e libera dal crimine.

L’eudaimonìa di Aristotele

Sen si è direttamente riallacciato alla tradizione greca, inaugurata da Aristotele, dell’eudaimonìa. Ma, a suo parere, l’espressione greca eudaimonìa non corrisponde affatto alla usuale traduzione in felicità. Ha piuttosto a che vedere col termine fulfillment, che vuol dire realizzazione completa di sé. Può essere resa con la bella immagine di una “vita fiorente”, ossia una vita che fiorisce in tutte le sue potenzialità.

L’eudaimonìa quale la intende Sen si contrappone direttamente al vecchio ideale della Welfare, che bada soltanto al benessere materiale.

Infatti, l’eudaimonìa deve portare ad uno sviluppo pluralistico, per cui “esiste una pluralità di fini e di obiettivi che gli uomini possono perseguire”.

 

Fonti:

http://spazioinwind.libero.it

https://www.filosofico.net

Foto di Sasin Tipchai da Pixabay