Bene comune: da Aristotele a San Tommaso

Il bene comune è un concetto che ha trovato accoglienza soprattutto nella filosofia cristiana, ma nasce da molto lontano. Ne parla già Aristotele. E’ bene rivedere il pensiero di Aristotele, perché le antiche civiltà ci aiutano a capire i concetti moderni in modo più semplice.

Politica, polis e etica per Aristotele

La “Politica”  è un’opera di Aristotele dedicata all’amministrazione della polis. La polis non è città in senso architettonico ma di comunità. Quest’opera contiene la celeberrima definizione dell’uomo quale “animale politico“, e, in quanto tale, portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità.

Lo Stato risponde ai bisogni naturali dell’individuo e “ogni Stato è una comunità (koinonia) e ogni comunità si costituisce in vista di un bene“.

Il “bene” perseguito dallo Stato, in quanto comunità più importante che comprende tutte le altre, a cominciare dalla famiglia, è da identificare con quello di cui parla nell’Etica Nicomachea.

Aristotele è il primo a introdurre nella cultura le parole “etica” e “politica”, che sono due concetti distinti, ma non separati, e tantomeno contrapposti. Sono due parti di una medesima scienza, la “filosofia pratica”, che a volte Aristotele chiama anche con l’espressione “scienza politica”.

Il bene supremo

Sin dall’inizio dell’opera ”Etica” Aristotele dichiara che ogni azione umana ha sempre come fine un bene. L’uomo agisce in vista di un bene. Ci sono però beni che sono strumentali in vista di altri e ci sono beni che vengono desiderati per se stessi e non in vista di altri.

Il bene supremo, “ariston” in greco,  a cui l’uomo aspira, è naturalmente un fine ultimo. Il bene del singolo individuo è parte del bene della città, come il singolo individuo a sua volta è parte della città.

L’insieme di tutti i cittadini collabora alla realizzazione di un fine comune. E questo fine comune è il bene, il bene della polis, “il bene comune”. Di questo “bene comune” il bene del singolo è una parte.

L’impegno per il bene comune  per Aristotele è lo scopo della politica.  Come spiega il Concilio Vaticano II: Si manifesta con la ricerca di quell’“l’insieme di condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività che ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente“.

Felicità o eudaimonia

Ciò a cui ciascuno aspira come fine ultimo di tutte le sue azioni è la “felicità”. La felicità del singolo è parte della felicità di tutti. Non si può essere felici da soli.

La vera felicità, o eudaimonìa, per Aristotele, è la piena realizzazione di sé, che si esprime nella possibilità di svolgere attività che siano fini a se stesse. E cioè quelle che noi chiamiamo le attività dello spirito, le attività culturali, l’arte, la letteratura, la poesia, la musica, e la scienza.

San Tommaso d’Aquino e il bene comune

La “Politica” venne abbandonata per secoli e poi “riscoperta” nell’Europa Occidentale  precisamente nel 1265. In quest’anno venne tradotta per la prima volta dal greco al latino.

L’Europa cristiana scoprì la “Politica” di Aristotele. La cultura medioevale può confrontarsi con un pensiero autonomo dal cristianesimo. E questa scoperta segnò una svolta nella filosofia politica europea, che sino a quel momento era stata dominata da Sant’Agostino, dall’agostinismo.

San Tommaso d’Aquino, il maggior filosofo cattolico, capì la grandezza di Aristotele, un pensatore che in quel momento rappresentava la scienza, rappresentava la cultura che oggi chiameremmo “laica”, perché antecedente a Cristo. Aderisce perciò alla concezione di Aristotele e la “riadatta” al cristianesimo.

Quindi anche per San Tommaso la politica diventa qualcosa di positivo. E qui alcuni secoli più tardi, nell’Ottocento, nasce da San Tommaso la dottrina sociale della Chiesa. La dottrina sociale della Chiesa cattolica si fonda tutta su San Tommaso, e si fonda quindi in modo indiretto su Aristotele.

etica e politica in Aristotele
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